La morte di un operaio 59enne in una cava di marmo a Massa Carrara, proprio alla vigilia della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, è l’ennesima conferma: si continua a morire tra l’indifferenza delle istituzioni e l’impunità delle imprese. Nei primi due mesi del 2024 si contano 138 morti, numeri da bollettino di guerra che un paese civile dovrebbe considerare inaccettabili
Ogni giorno in Italia si muore di lavoro. Non è un modo di dire, né un’esagerazione. È una tragica realtà che si consuma nel silenzio delle fabbriche, nei cantieri dimenticati, nelle cave dove il profitto vale più di una vita umana. È una strage che non conosce tregua e che grida vendetta. Ma chi ascolta?
Il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, quest’anno sarà dedicata alla salute e alla sicurezza sul lavoro. CGIL, CISL e UIL, le tre principali sigle sindacali, si uniscono sotto lo slogan “Uniti per un lavoro sicuro”. Ma quante volte l’abbiamo già sentito? E quante altre volte ancora dovremo tornare in piazza a contare i morti?
Solo quest’anno, secondo i dati provvisori dell’INAIL, sono già 1.090 le vittime sul lavoro in Italia. Nei primi due mesi del 2024 si contano 138 morti, 101 in occasione di lavoro e 37 in itinere. Numeri da bollettino di guerra, numeri che un paese civile dovrebbe considerare inaccettabili. E invece, si va avanti come se nulla fosse, in un eterno minuto di silenzio che non cambia nulla.
La morte di un operaio 59enne in una cava di marmo a Massa Carrara, proprio alla vigilia della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, è l’ennesima conferma: si continua a morire tra l’indifferenza delle istituzioni e l’impunità delle imprese. Perché la verità è che in Italia la vita di un lavoratore vale meno di un appalto.
Maurizio Landini (CGIL) lo dice chiaramente: “Lavoro sicuro vuol dire lavoro non precario, ben pagato”. Ma aggiunge anche qualcosa di più: bisogna superare la logica di appalti e subappalti, che spesso servono solo a scaricare responsabilità e aumentare i profitti di pochi sulla pelle di molti. Ed è proprio su questo tema che uno dei referendum di giugno proverà a intervenire. Basterà? Difficile crederlo senza una volontà politica forte, continua e coerente.
Daniela Fumarola (CISL) sarà a Casteldaccia, luogo simbolo della tragedia del 2023 in cui persero la vita cinque operai. Parla di una “strategia nazionale” per fermare la strage. Ma dove sono i controlli? Dove sono le ispezioni che dovrebbero garantire il rispetto delle norme? La verità è che per anni si è tagliato proprio lì: nella prevenzione.
Pierpaolo Bombardieri (UIL) denuncia che “siamo davanti a numeri da guerra civile”. Ha ragione. Eppure, mentre le famiglie piangono i loro morti, la politica si affanna a produrre spot e promesse. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, rivendica l’impegno del governo. Parla di concorsi per nuovi ispettori e investimenti in prevenzione. Ma è legittimo chiedersi dove siano i risultati. Dove sono gli effetti concreti di queste attività, mentre i morti aumentano e il dolore si accumula?
Luana D’Orazio, stritolata da un macchinario a 22 anni. Gli operai di Casteldaccia, uccisi mentre facevano il loro dovere. L’ennesima vittima di Massa Carrara. Sono nomi, volti, famiglie. Non statistiche. Ma finché li tratteremo come tali, la strage continuerà.
Il Primo Maggio non può essere solo un giorno di commemorazione. Deve diventare un giorno di ribellione. Basta lacrime, basta minuti di silenzio, basta retorica. Serve una presa di coscienza collettiva: il lavoro non può e non deve uccidere. Altrimenti, ogni promessa resterà solo una frase vuota su un palco. – 29 aprile 2025